Dialogo sull’IRA
collettivoSERRA su Dispositivo di Memoria a Rumore Residuo di Giuseppe Bergamino
«Cara mamma, caro fratello, cara sorella, io muoio per un mondo che splenderà con luce tanto forte, con tale bellezza che il mio stesso sacrificio è nulla». Le parole di Anton Popov, insegnante e pubblicista bulgaro di 26 anni, scritte ai suoi cari prima della sua esecuzione, aprono il “Canto Sospeso”, una delle opere più intense di Luigi Nono*.
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Il compositore e scrittore veneziano raccoglie le ultime parole dei condannati a morte della Resistenza antinazista europea e le trasforma in una drammaturgia sonora che non si limita a evocare la memoria, ma la dilata, la spezza. Le parole non vengono semplicemente cantate: vengono stirate, sfilacciate, disgregate, al punto da perdere quasi il loro significato letterale. Eppure, la loro forza rimane intatta. Si accende.
Così anche Dispositivo di Memoria a Rumore Residuo di Giuseppe Bergamino raccoglie l’urlo del pubblico e lo trasforma in luce: come le lettere si fanno musica, la rabbia si fa materia viva dell’opera. Il singolo gesto abbandona la propria individualità per entrare in una memoria condivisa, dove la somma delle voci diventa più della somma dei suoi singoli elementi. Il rumore residuo di ogni urlo contribuisce alla creazione di un archivio luminoso in continua trasformazione, come se ogni urlo si legasse all’interazione con gli altri in un processo di intensificazione reciproca e si dissolvesse nell’unità di una composizione collettiva.
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La rabbia, dunque, non è lasciata sola, ma accolta in uno spazio sicuro in cui esistere. L’esperienza dell’opera converte l’urlo - la più naturale e universale espressione di dissenso e rivendicazione - da impulso stigmatizzato a forza creativa. Per Bergamino, la rabbia non va repressa, ma riconosciuta come un’emozione cangiante, capace di innescare un cambiamento costruttivo. In quest’opera non esiste una regia intenzionale, né la prevedibilità della finitudine. Il dispositivo è un sistema aperto, senza barriere tecniche o concettuali, che permette a chiunque di entrarvi in relazione, consapevole del proprio impatto. E se qualcuno sceglierà di urlare, l’opera avrà raggiunto il suo scopo. Un esercizio di semplicità e di immediatezza, in cui l’interazione si fa cuore pulsante del lavoro, un linguaggio che si dispiega tra l’individuo e il collettivo.
Pertanto, Bergamino scrive: “La rabbia non è violenza da reprimere, è risposta autentica. È urlo che si trasforma in consapevolezza e cambiamento, necessario per illuminare nuove possibilità”
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