MODULO DISABITATIVO
Riflessione di Laura Raccanelli e Alice Nagini
Era inizio maggio 2023, una studentessa piantava una tenda davanti al Politecnico di Milano per protestare contro il caro affitti e un costo della vita di gran lunga superiore alla media delle altre grandi città italiane. Il tema dell’emergenza abitativa a Milano esplodeva nel dibattito pubblico cittadino. Non è naturalmente solo in questa città che si osservano le conseguenze della crisi abitativa, se n’è senz'altro accorto chi abbia avuto la malaugurata esperienza di cercare una stanza in una qualsiasi metropoli, rispondendo ad annunci ingiustificatamente esagerati o a offerte ai limiti dell’accettabilità. Questo succede infatti quando un’ampia quota di stock immobiliare viene sottratta alla locazione da una serie di fattori, come ad esempio la presenza diffusa di case sfitte o vuote, sia private che pubbliche - a Milano sono oltre tremila gli alloggi popolari non assegnati - unita all’aumentare degli affitti brevi rivolti all’industria turistica e alla crescita di una popolazione studentesca o transitoria che occupa il resto degli affitti disponibili. Le conseguenze cascano soprattutto su famiglie monoreddito, student* e giovani precar*, che oggi si trovano sempre più spesso a condividere esperienze di diffusa instabilità abitativa.
Che cosa fa, quindi, casa? Le persone che la abitano, il luogo in cui si vive, o le cose che la compongono? E che cosa, invece, disfa una casa?
Il Collettivo Zeroscena e Silvia Francis Berry con AFFITTASI LUMINOSISSIMO BILOCALE propongono una mostra site-specific all’interno di spazioSERRA per ragionare sulla tematica dell’abitare la città oggi.
Partendo dalla loro esperienza personale, l* artist* ricostruiscono dentro l’ex edicola della stazione Lancetti - ventidue luminosissime vetrate, forma ottagonale - un appartamento su misura, come da tema proposto per la stagione espositiva 2024, con materassi accostati, un’angusta cucina, divani di cartone e persino bagno con wc e doccia. Per essere più precise, sono in realtà gli oggetti che danno misura a questa installazione: l’allestimento è composto da arredi di scarto recuperati da annunci o da conoscenti; le pareti sono solamente una linea tracciata sul pavimento. I pezzi che compongono questa casa fittizia sono quei piccoli o grandi oggetti che siamo ormai abituat* a vedere negli annunci di popolari gruppi su alcuni social network, dove si regalano cose di cui ci si vuole disfare. Alla fine della mostra gli oggetti saranno restituiti o rimessi in circolo attraverso gli stessi canali.
L’insieme degli elementi esposti configura un sistema di oggetti in transito: sagome provvisorie, tracce di una struttura inconsistente, scarti convertiti in risorse. Ciascuno di essi porta incisa la narrazione di chi lo ha vissuto, ma è nella dimensione del movimento e della ricollocazione che formulano una nuova dichiarazione congiunta. Divenendo altro da sé, le cose, ridefiniscono il significato dello spazio domestico, che da stabile e protettivo si fa emblema di compromesso e necessario adattamento. Ciò che libera spazio in un appartamento, accatastandosi in un altro, dice di un abitare contemporaneo che è a sua volta transitorio. L’installazione, con i suoi arredi recuperati, è allora dis-abitativa nel dare concretezza al tradimento etimologico dell’abitare [dal lat. habitare, propr. «tenere», frequent. di habere «avere»]; racconta di una mobilità imposta dalla precarietà abitativa e insieme dichiara simbolicamente il divieto di radicarsi. Il movimento, contrario della stabilità, avvolge quindi la luminosissima stanza in affitto che diventa, a sua volta, oggetto di transito per la sua stessa collocazione: lambita dai corpi che attraversano la stazione Lancetti e dai visitatori che abitano l’installazione per pochi minuti.